lunedì 1 ottobre 2012

"Nessun vascello c'è che come un libro possa portarci in contrade lontane..."


Quando ho creato il blog, pensavo che sarebbe stato solo una sorta di bacheca virtuale sulla quale appuntare le mie impressioni e sensazioni sui viaggi e sui weekend in giro per l'Italia e per l'Europa. Il giorno seguente, però, già stavo lì che parlavo di una ricetta. E il giorno dopo ancora avevo voglia di recensire la mia ultima lettura. Così ho capito che non sarebbe mai stato un blog monotematico, perché altrimenti non sarebbe stato mio. Io sono tutto tranne che "mono" qualcosa. Io sono "poli". A me piace tutto, mi interessa tutto, mi stufa anche tutto dopo un po', ma almeno posso dire di averlo sperimentato. Negli anni però sono riuscita a isolare alcune cose che nonostante tutto non mi stancano mai: viaggiare, mangiareberecucinare e leggere. In realtà ce ne sono tante altre, a occhio e croce un'altra ventina, ma vengono subito dopo queste tre e soprattutto non c'entravano nell'intestazione del blog :P

Eccomi quindi a parlare di un libro che ho letto da poco: "Educazione siberiana", di Nicolai Lilin. L'ho pescato a caso una sera di qualche giorno fa dalla mia libreria che somiglia davvero a una libreria (nel senso "negozio di libri") specialmente perché, conoscendo la mia natura di lettrice onnivora e compulsiva, la gente non fa che regalarmi libri a ogni occasione. E poiché passerei volentieri la mia vita a leggere e basta, ma ogni tanto devo fare anche qualcos'altro, la mia meravigliosa libreria pullula di libri intonsi, la maggior parte dei quali non ricordo più chi me li abbia regalati. E' il caso di "Educazione siberiana", il cui prezzo coperto da un'etichetta è l'unico indizio che parla di un regalo. Da parte di chi, non lo so. E mi dispiace, perché vorrei ringraziarlo/a: di rado mi regalano libri capaci di appassionarmi (oltre che onnivora e compulsiva sono anche una lettrice un po' snob). Ma torniamo al libro. Anzitutto contiene in sé due premesse fondamentali per riuscire a catturare la mia attenzione: 1) è ambientato in un paese che non avevo mai sentito nominare (!) 2) racconta, in forma autobiografica, la vita di un ragazzo (l'autore) all'interno di un clan criminale siberiano, gli Urca. E siccome nemmeno degli Urca avevo mai sentito parlare, la quarta di copertina mi ha convinto da subito. Se a questo aggiungiamo che il libro è scritto veramente, ma veramente bene: voilà. Il quadro è completo. Un gran bel libro, non c'è che dire. Consigliatissimo.

Però, però.
Mentre leggevo, qualche domandina cominciavo a farmela. In primis, continuavo a chiedermi come avesse fatto l'autore a scrivere direttamente in italiano (e che italiano!) essendo lui russo ed emigrato nel nostro paese solo da pochi anni. Se a questo aggiungiamo che ha passato la sua intera vita a fare il membro del clan siberiano degli Urca e non rinchiuso in uno studio come Leopardi, mi sembrava ancora più strano. Ma al di là della forma impeccabile in cui il libro è stato scritto, c'era anche qualcos'altro che non mi tornava, anche se non riuscivo a capire cosa. Allora che faccio? Mi metto ad indagare. E piano piano esce fuori una storia che un po' di amaro in bocca me l'ha lasciato, lo ammetto: Nicolai Lilin si è inventato tutto quello che scrive. Tutto.
A scoprirlo pare sia stata una giornalista de "La Stampa", Anna Zafesova la quale, curiosa quanto me ma a differenza di me provvista di mezzi che glielo consentivano, ha preso un aereo ed è partita per la Transnistria. E che ha scoperto? Che Nicolai Lilin in effetti era un po' più un tipo alla Leopardi che alla Libanese, che fin da ragazzino leggeva tanto, era curioso e inventava storie. Proprio come quella che ha raccontato in "Educazione siberiana".

Ovviamente Lilin ha smentito tutte le conclusioni a cui la giornalista era giunta - e che aveva messo nero su bianco in un bell'articolo intitolato "Falsità siberiane" - continuando imperterrito a confermare che tutto ciò che ha scritto l'ha vissuto in prima persona. Sia chiaro: io il beneficio del dubbio glielo concedo pure, tantopiù che - realtà o finzione che sia - il libro resta sempre un ottimo prodotto. Ma non sarebbe stato più onesto e interessante ammettere - nel caso - che la sua opera era frutto della sua fantasia anziché il racconto della sua vita? Io, per dire, l'avrei sicuramente stimato di più, poiché apprezzo più la capacità di inventare, che quella di raccontare.

E comunque, continuo a pensare che, sostanza a parte, per la forma dovrei congratularmi con qualche talentuoso e sconosciuto editor di Einaudi, più che con Lilin.

P.S. Il titolo è l'incipit di una poesia della meravigliosa Emily Dickinson (la amo):

Nessun vascello c’è che come un libro
possa portarci in contrade lontane
né corsiere che superi la pagina
d’una poesia al galoppo -
Questo viaggio può farlo anche il più povero
senza pagare nulla -
tant’è frugale il carro che trasporta
l’anima umana.

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